di Fabio Buffa
Emmanuele
Borgatta rappresenta una delle personalità più geniali
e al tempo stesso misteriose che la nostra nazione abbia
creato negli ultimi secoli. Basti pensare che divenne un instancabile
concorrente di Giuseppe Verdi, fu paragonato a Gioacchino Rosssini ed
ebbe come insegnante di musica uno dei “formatori” artistici di
Mozart. I suoi primi trent’anni di vita furono vissuti sempre
ai cento all’ora, bruciando le tappe in modo vertiginoso. Fin da
giovanissimo era destinato ad una carriera musicale eccellente di
pianista e compositore. I suoi stessi maestri lo elevarono a studente
e artista modello, degno di entrare già adolescente nei migliori e
raffinati contesti culturali del nord Italia. Ma nel momento in cui
fu in procinto di raggiungere l’obiettivo più elevato del proprio
lavoro, iniziando una gratificante collaborazione con il Teatro alla
Scala di Milano, subì un’aggressione che gli recò uno shock
emotivo tremendo da cui non si riprese più, trascorrendo i
successivi quarant’anni della propria vita nel più profondo
oblio.
Borgatta
nacque ad Ovada, dove la provincia di Alessandria si sposa con
l’entroterra genovese, il 5 ottobre del 1809:
il padre, Giacomo, era farmacista mentre la madre, Clara Ivaldi, era
casalinga. Anche se nessuno dei familiari era artista, il nucleo in
cui nacque Emmanuele era certamente incline ad apprezzare il valore
della musica, tanto che fu indirizzato a studiare fin da piccolo
pianoforte. Dimostrò subito grande dimestichezza sulla tastiera, al
punto che a soli quattordici anni il padre lo iscrive al Liceo
Filarmonico di Bologna, sotto la guida di Stanislao Mattei,
francescano, compositore e gregoriani sta, nonché considerato
l’erede artistico del grande Maestro Giovanni Battista Martini,
insegnante, tra gli altri, di Wolfgang Amadeus Mozart .
Mattei
era un duro e severo professore,
per nulla incline a far trapelare simpatie o apprezzamenti artistici
verso gli allievi, ma Emmanuele Borgatta, con il suo carattere umile
e al tempo stesso schietto e solare, attira subito i complimenti
dell’insegnante. Per diventare Maestro di musica il corso di
studi doveva durare tre anni, ma il giovanissimo artista ovadese
acquisì il prezioso diploma dopo soli due anni, ovvero nel 1826.
Diciassettenne fu subito apprezzato nella città di San Petronio, al
punto che fu paragonato a Gioacchino Rossini, che studiò
proprio a Bologna e che due anni prima aveva deciso di trasferirsi a
Parigi per scrivere l’opera “Il Viaggio a Reims” in onore di Re
Carlo X di Francia. Proprio per la decisione di Rossini di lasciare
l’Italia, qualcuno indicava Borgatta (più giovane di Rossini di 17
anni) come erede del compositore del Barbiere di Siviglia.
Qui
giunge la fase in cui il compositore di Ovada lascia Bologna
per avvicinarsi a casa, arrivando fino a Genova. Città allora assai
vivace sotto il profilo artistico musicale, grazie all’influenza
esercitata da Niccolò Paganini, natio proprio del caruggio di
via del Colle. Borgatta venne subito inserito nei maggiori contesti
artistici della città ligure, esibendosi nei salotti
dell’aristocrazia. A vent’anni però capisce che per maturare in
modo decisivo sotto il profilo artistico avrebbe bisogno di vivere
per un po’ nella città che in Europa in quel tempo rappresentava
la capitale culturale per eccellenza. Si recò quindi a Londra, dove
con un po’ di fortuna entrò nel novero della Royal Academy: qui
incontrò il pianista e compositore Johann Baptist Cramer (in buoni
rapporti con Beethoven) e il musicista ceco Ignaz Isaac Moscheles,
colui che creò una tecnica di insegnamento per pianoforte ancora
oggi utilizzata nella preparazione degli allievi. Per Borgatta queste
frequentazioni furono l’occasione per una decisiva maturazione
artistica. Acquisisce grandi capacità nel melodramma,
nell’attitudine a mettere in musica l’opera. E si emancipa
artisticamente anche nella tecnica del virtuosismo, tanto caro alla
borghesia di estrazione “Biedermeier” di allora e caratterizzato
da una solennità musicale mediata dalla sobrietà.
A
23 anni Emmanuele Borgatta approda a Milano:
in breve tempo diventa un concorrente di Giuseppe Verdi, che allora
diciannovenne si esibiva raccogliendo a volte qualche critica. Invece
Borgatta no, anzi, le cronache di allora parlavano di lui come di un
talento incontrastato, capace di suonare (e scrivere musica) con
testa e cuore, con naturalezza e tecnica. Nei salotti
dell’aristocrazia milanese Emmanuele Borgatta diventa un
punto di riferimento prezioso, tanto da essere ingaggiato come
insegnante d’eccellenza per i giovani rampolli di quel mondo.
Il
Teatro Carlo Felice di Genova gli commissiona due opere:
Il Quadromaniaco e Francesca da Rimini. L’entusiasmo genovese
per questi due lavori resero ancor più popolare il nostro
Borgatta, così nel 1839, a trent’anni, entra a far parte del
gruppo degli autori della Scala di Milano. La direzione scaligera gli
commissiona un’opera che l’ovadese si mette subito a
scrivere.
Ma
questo è anche il momento della svolta drammatica della vita di
Emmaneule Borgatta: una sera della primavera del 1839, verosimilmente
dopo una lunga giornata di lavoro per scrivere il melodramma
commissionato, mentre percorre le strade milanesi viene
avvicinato da alcuni brutti ceffi che lo minacciano di morte se
non avesse lasciato immediatamente la città, e gli portano via con
violenza lo scritto. Borgatta rimane profondamente scioccato,
al punto che entrerà in una condizione di grave alterazione psichica
da cui non si riprenderà più. Neppure un lungo periodo di ricovero
ospedaliero ne lenirà la grave sofferenza, anzi probabilmente
la aggraveranno ancora di più. Borgatta entra in una vera condizione
di oblio, dimenticato da tutto e da tutti. Un oblio che lo
accompagnerà per quarantaquattro lunghi anni, fino al giorno della
sua morte, il 2 aprile 1883.
Ci
si chiede il motivo dell’aggressione e di quella vile minaccia:
certamente il nostro artista con quella carriera brillante e veloce
nel raggiungere le vette della notorietà e dell’apprezzamento
attirò le invidie di molti (anche di Giuseppe Verdi?). Ma perché
venne dimenticato fino alla morte? Come fosse diventata una
personalità scomoda? Forse per le sue simpatie per l’unità
d’Italia? Quindi per motivi non solo artistici ma anche politici.
E’ difficile giungere ad una spiegazione tangibile.