Hai paura del buio

Hai paura del buio
Intervista al regista Massimo Coppola




di Giovanna Barreca - RadioCinema.it per Slide Italia


Hai paura del buio perché c’è sempre una piccola lucetta di sicurezza, di quelle blu che si usano per i bimbi, a rompere la solitudine nel buio” spiega Massimo Coppola arrivato al lungometraggio dopo le lucide letture presenti in documentari come Biancardi sull’omonimo scrittore irregolare e Politica zero dove seguiva la campagna elettorale di quattro candidati under 30.
Il film presentato all’interno della Settimana della Critica alla 67 esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ha origine dalle storie incontrate e documentate nella serie tv Avere Ventenni dove l’autore non seguiva una regola fissa ma partiva da un interesse teorico verso qualcosa. Questo permetteva la restituzione in camera della sorpresa dell’incontro, del momento in cui cercava di ricostruire una relazione autentica con un posto.
Più ti documenti e più tendi ad avere delle tesi perché pensi e trai delle conclusioni: arrivi sporco” precisa l’autore che ricorda come nacquero gli incontri con la ragazza del call center, con il ragazzo meridionale improvvisatosi rappresentante in quelle catene di Sant’Antonio che coinvolgono famiglia e amici, il ragazzo straniero che vende fiori in piena campagna elettorale a Milano. Forte nella seconda serie, la volontà di indagare gli operai perché erano spariti dalla tv: “Era il momento di massima dittatura mediatici, era il tempo degli editti bulgari ”. A quel periodo risale il primo viaggio nella città lucana di Melfi.
Con le storie intrecciate di Eva e Anna, l’autore non realizza un film a tesi ma utilizzando una sceneggiatura semplice e rigorosa ci racconta l’oggi più acutamente doloroso e allo stesso tempo la nevrosi del guardare. Alla ricerca dell’essenzialità e dell’astrazione, nel film c’è “l’urlo soffocato” di una città raccontata con panoramiche ampie e tragiche anche quando nel quadro c’è solo un grosso parcheggio con auto ordinate. “Urlo soffocato” negli animi delle due ragazze che devono trovare a non lasciare il loro dolore in fondo ai problemi da risolvere.

Descrivici i personaggi di questa storia come li hai tratteggiati in sceneggiatura.
Eva è un aliena e intorno a lei ruotano gli altri personaggi. Per Anna, ospitarla nel letto è una difesa, non sa dove metterla. Non è neppure il grado di respingerla.
Per la madre Eva è un’occasione per continuare a perpetrare la sua menzogna, la sua idea di famiglia felice che ha la badante se c’è un vecchio da accudire.
Il padre ignavo ha nei confronti di Eva la stessa reazione di Anna, oltre a rimanere affascinato dalla bellezza della ragazza.
Eva in tutto questo si limita a sfruttare lo spazio precario a sua disposizione. Anche perché la stessa famiglia è precaria in quella casa. Per lei è facilissimo. Lei non è accolta, non si intrufola, esiste. Si infila in questa sorta di passività esistente.

Perché Melfi?
Già dai tempi di Avere Ventenni, quando ho pensato agli operai ho pensato a Melfi. Un luogo che mi ha sempre suggerito una contraddizione nel senso che quella è una società contadina. Arrivi, vedi campi neri e ad un certo punto un rettangolo enorme, quello della fabbrica Fiat che sembra ritagliato da un altro tempo e da un altro spazio, come se ci fosse una confronto tra civiltà contadina e civiltà post-industriale. 150 anni sono solo una linea, una strada .
L’ho immaginato come un laboratorio sociale pieno di dolore. Quel posto mi è rimasto dentro anche se poi in Ho paura del buio c’è il racconto di Eva oggi, un’eroina e mi piacerebbe che fosse percepito come il classico di un genere: cerca di conoscersi, di venire a patto con la sua vita, senza perdere la giocosità, quella padronanza e indipendenza tipica delle figure della nouvelle vague che erano sempre quegli eroi che attraversavano grande dolore ma avevano leggerezza e capacità di riuscire a godersi le cose che avevano. Alexandra Pirici ha utilizzato registi diversi e attitudine diverse facendo un lavoro straordinario: da vittima lamentosa, a nazista torturatrice, padrona del suo corpo tanto da sedurre un ragazzo, a ragazza camaleontica capace di adattarsi al passaggio da metropoli a paese. Tutto questo covando questo dentro di sè un grande dolore, una perdita che non si potrà rimarginare: la madre chiude la porta e quella porta non si riaprirà mai più.

E Bucarest?
Purtroppo ogni rumeno o immigrato è considerato un selvaggio che arriva da un posto periferico e disagiato. Questa cosa diventa più razzista se proviene dalla provincia del sud depresso. Per cui la scelta di mostrare una Bucarest metropolitana e viva era questa, giocare sul contrasto. E poi la definisco una città sudata perchè assorbe la luce; una luce aperta che mi piace, quasi americana con il cemento che l’assorbe e i colori vivi che sono legati al capitalismo nascente: emblema di un’espressività potente. Inoltre c’è una purezza di prospettive che altrove non trovi.

Come hai lavorato con gli spazi?
Lo spazio ha un ruolo importantissimo. La vita della famiglia di Anna è dettata dall’impossibilità della coabitazione e Eva rompe ulteriormente questa cosa. Ma come spesso accade in case come quelle di Anna c’è un megaschermo da 35 pollici, un centrino pulito e ordinatissimo che è una coltellata. Pasolini ha scritto che il suo primo momento di angoscia nella vita è stato quando ha visto una tenda sveltolare su un palazzo, un piccolo particolare. Non sapeva perché.
Ecco, io ho cercato con lo scenografo Paolo Confini di mettere ovunque questi piccoli particolari che svelassero il dolore in uno spazio così angusto e doloroso in confronto con lo spazio sterminato fuori.

La fabbrica era come te l’eri immaginata?
Sì. Poi è ovvio che è la misura e l’estrema modernità che hanno fatto la differenza. Entri in una stanza di igenizzazione, ti metti un camice bianco con altre 20 persone e tutto si riempie di vapore e pensi a teletrasporto anche perché fuori ci sono questi campi lunari. Poi dentro le catene di montaggio iperilluminate, cliniche assomigliano ad una galleria d’arte. Siamo a livelli straordinari. E poi c’è la sala della pausa che è rossa e io non ci potevo credere che fosse rossa perché è un colore che innervosisce: Deserto rosso di Antonioni parlava con questo. In quell’oceano di bianco, questo rosso era un’aggressione.



scheda
Regia: Massimo Coppola
Sceneggiatura: Massimo Coppola
Fotografia: Daria D’Antonio
Montaggio: Cristiano Travaglioli
Scenografia: Paolo Bonfini
Interpreti: Alexandra Pirici, Erica Fontana
Produzione: Nicola Giuliano e Francesca Cima per Indigo Film
Distribuzione: BIM
Origine: Italia
Anno: 2010
Durata: 90 minuti

Sinossi. Una staffetta. Ci sono due ragazze che perdono il lavoro in modi diversi e questo gli consente di guardarsi e di porsi delle domande sulla loro condizione attuale. Eva se lo chiede all’inizio del film, Anna alla fine e non sapremo quale percorso di emancipazione compirà. Eva invece ha bisogno di arrivare a patti con la sua perdita e per farlo da Bucarest arriva a Melfi.

scheda
Biografica regista Massimo Coppola
Massimo Coppola si è laureato in filosofia delle scienze e ha pubblicato due libri: Nove domande sulla coscienza e Brand new. Collabora con diverse testate giornalistiche tra cui Rolling Stone, Kult, Rockstar. Socio e Direttore Editoriale di ISBN Edizioni, casa editrice di Milano fondata nel 2004, insieme ad Alberto Piccinini e Luciana Bianciardi ha curato l’Antimeridiano – Opere complete di Luciano Bianciard. Ha realizzato diverse installazioni artistiche, l’ultima delle quali, Musica per divano preparato ospitata presso la Galleria Civica di Arte Contemporanea di Trento e AssabOne di Milano. Nato televisivamente con Raidue grazie a 99 alle 9 (1997-2000), deve a Mtv il suo successo anche come autore: Brand New (2000-2003), Pavolov (2003-2004) e Avere Vent’anni (2004-2008).
Ha diretto i documentari La regola del contemporaneamente (2002), Solomon (2006), Politica Zero (2006) presentato in concorso al Festival di Torino, Bianciardi! (2007) presentato alla Mostra del Cinema di Venezia all’interno de Le Giornate degli Autori e Parafernalia (2008) selezionato al Festival Internazionale di Locarno.
Hai paura del buio è il suo primo lungometraggio di finzione.