Less is more ( di Vilma Torselli )

Il 17 agosto 1969 moriva a Chicago Ludwig Mies van der Rohe, uno dei protagonisti di un’epoca cruciale dell’architettura e del design mondiali, in sua memoria questo breve scritto vuole ricordarne la straordinaria modernità ed attualità. 


In fuga dalla Germania nazista, Mies van der Rohe si impone immediatamente nell’ambiente intellettuale americano con la forza delle idee, la creatività travolgente ma insieme rigorosa ed un  bagaglio culturale di matrice europea del quale da sempre la giovane America subisce il fascino ed il carisma. Nell’avvicinarsi a quel mondo nuovo, in cui introduce un linguaggio di estrema purezza formale impregnato del rigorismo morale di ”De Stijl” e memore dell’esperienza al Bauhaus, Mies van der Rohe non trascura tuttavia i contenuti culturali di una nazione giovane, con un passato breve punteggiato da poche personalità emergenti e nell’americano  Frank Lloyd Wright egli, europeo, riconosce senza esitazione un maestro al quale si sente debitore, “un artista ispirato alla reale sorgente dell'architettura che, con vera originalità, innalzava le sue creazioni alla luce….",  specialmente nella ricerca di una continuità spaziale tra interno ed esterno.
Mies van der Rohe struttura il suo linguaggio minimalista in un’ architettura scarna, essenziale, semplificata, dove nulla è superfluo, un’architettura, per sua stessa definizione,  "skin and bone", pelle e ossa, le ossa di acciaio delle intelaiature portanti dei suoi grattacieli, la pelle di vetro delle grandi facciate trasparenti che mettono  a nudo i nodi strutturali, materia dura come il ferro e fragile come il cristallo sublimata dai riflessi della luce. Il vetro diventa per la prima volta elemento strutturale, sostituendo, sia in facciata che negli interni, i tamponamenti in muratura, dilatando gli spazi ed instaurando un nuovo rapporto tra pieno e vuoto, tra dentro e fuori, tra luce ed ombra, operando una rivoluzione copernicana del linguaggio architettonico sotto il profilo tecnologico, ma soprattutto concettuale.
Sorgono così le sue opere più note, fra le quali i Lake Shore Drive Apartments, il Federal Building, l'IBM Building, la Farnsworth House tutti a Chicago, il Seagram Building a New York.
Altrettanto incisivo il suo apporto nel campo del design, dove trasferisce la stessa straordinaria capacità di ottenere il massimo risultato col minimo dei mezzi attraverso un riduzionismo formale estremo, sottraendo ciò che è ovvio a beneficio di ciò che è veramente necessario, discriminando l'essenziale dal superfluo con inflessibile rigore e maniacale accuratezza nei particolari (suo il motto “God is in the details”).
Tra tutti i suoi progetti di interior design, mi piace ricordare come particolarmente significativo quello di una seduta ancora oggi prodotta e presente in molte case in ogni parte del mondo, la poltrona Barcelona, un imbottito a struttura portante in trafilato di acciaio cromato, cinghie di sostegno in cuoio, rivestimento in pelle. Disegnata per il padiglione tedesco dell’Expo di Barcelona del 1929, la poltrona fu concepita, secondo le parole dello stesso Mies, “per il riposo di un re”, per accogliere i reali  di Spagna in visita all’esposizione. 
Per definire il suo progetto, parte da lontano e rivisita le linee della “sella curulis”, la sedia dei magistrati dell’antica Roma, simbolo dell’autorità, modernizzata in un’interpretazione severa ed essenziale che la trasforma in uno scranno di algida austerità: due linee morbide, incrociandosi fluidamente, definiscono la struttura portante di estrema leggerezza grazie all’impiego dell’acciaio, materiale allora assolutamente innovativo nel campo dell’arredo, molto resistente, duttile, sagomabile, mentre l’imbottito, che riprende la forma pulita e geometrica dell’antico sedile, acquista morbidezza e comfort con la  trapuntatura. 
L’impostazione intellettualistica, l’allusione culturale, contribuiscono al fascino di questo oggetto senza tempo, oltre ogni moda, di incorruttibile purezza formale, sul quale Wolf Tegethoff, autore di molti studi monografici su Mies van der Rohe, scrive "La storia di un "trono": l'archeologia della poltrona Barcelona", ricostruendo la genesi del percorso creativo.
 “Less is more”, dice Mies, e persegue per tutta la vita un raffinato minimalismo, un’instancabile ricerca dell'essenza ultima ed unica della materia, oltre la quale brilla nuda l’anima divina dell’idea. 

E’ questo che ancora oggi ci emoziona, è per questo che voglio ricordare quell’agosto lontano.