Rimarrà
nella storia della musica italiana
a
cura di Fabio Buffa - Slide Italia
E’
una canzone che non passerà mai di moda. Una canzone che da
settantacinque anni ci rimbomba tra un timpano e l’altro non appena
(soprattutto in tempi di crisi come questi) il sogno di ognuno di noi
è quello di guadagnare qualche Euro in più. Sognando
inaspettate entrate economiche ecco che ci torna alla mente quel
motivetto….
“se potessi avereeee…mille lire al meseeeee…”.
In
un’indagine di alcuni anni fa fu inserita nel novero di brani più
popolari in Italia. Gli esperti la posero tra le canzoni evergreen.
Parliamo, naturalmente, di “Mille lire al mese”, che nel 1939
sbancò, diventando una sorta di inno nazionale. Negli anni del boom
economico fu rispolverata come beffardo sfottò ad una povertà che
consideravamo alle spalle, negli anni ottanta accompagnò la nascita
dello yuppismo e dell'edonismo reaganiano, nei novanta quello della
luna di miele col bipolarismo. Ed oggi è una delle più popolari
sdrammatizzazioni della crisi economica globale. Ma chi cantava
“Mille lire al mese?”.
Era
un alessandrino, che i ben informati dicono che da giovanissimo
facesse esercizi da autodidatta per “limare” quella “erre
moscia” tipica di chi è nato tra Tanaro e Bormida.
Quella voce sorniona, agrodolce, gonfia di ironia, arrivava
dall'ugola di Gilberto Mazzi, nato il 3 gennaio 1909. Alessandria gli
consegnò le prime lezioni di canto, lui poi si trasferì a Milano,
poco più che adolescente. Poi per qualche mese partì verso gli
Stati Uniti, un po’ per turismo e un po’ per sondare il terreno
per un’eventuale carriera americana. E’ lo stesso Mazzi a
raccontare che negli States ebbe la sua prima esperienza davanti ad
un microfono, in occasione di un'intervista che un cronista gli fece
circa le sue impressioni (di italiano) sulla città statunitense dove
si trovava: New York.
Nel
1938 a Mazzi capita l'occasione della vita:
partecipa (tra l'altro con un'altra cantante alessandrina, Maria
Jottini) alla gara nazionale per gli artisti della canzone, indetta
dalla Eiar: è l'ottobre del 1938 e tre mesi dopo, proprio grazie a
quel concorso, entra a far parte del cast radiofonico nazionale,
diventando cantante con le orchestre di Cinico Angelini, Pippo
Barzizza e di Tito Petralia. Questo fu il trampolino di lancio che
permise a Gilberto Mazzi di entrare a far parte di un contesto che,
nel 1939, gli permise di vedersi affidare la canzone “Mille lire al
mese” scritta alcuni mesi prima; è un motivetto fox-trot,
swingeggiante, messo giù da Carlo Innocenzi (musica) e Alessandro
Sopranzi (parole), con arrangiamenti di Pippo Barzizza. Come esce la
canzone ha un successo inaspettato e Gilberto Mazzi diventa il
cantante più popolare del momento. “Se potessi avere mille lire al
mese, senza esagerare, sarei certo di trovar tutta la felicità”.
Con queste parole Gilberto Mazzi disegna il bel paese di quei tempi.
Un'Italia povera e con la seconda guerra mondiale alle porte.
Il cantante alessandrino recita il desiderio di una nazione di uscire
dall'emarginazione sociale, accontentandosi “senza esagerare” di
un tranquillo benessere.
Il
regime fascista vuole illudere gli italiani che la nostra nazione
è una potenza piena di vigore e prosperità. Ma gli italiani, nel
silenzio della paura delle ritorsioni politiche, sono consapevoli che
fame e povertà li stanno trascinando nell’oblio. In “Mille lire
al mese” Gilberto Mazzi cantava così: “che diperazion, che
delusion, dover campar. Sempre in disdetta, sempre in bolletta. Ma se
un posticino, doman cara, io troverò, di gemme d'oro di coprirò. Se
potessi avere, mille lire al mese...”.
In
realtà mille lire al mese, come stipendio, non era uno sproposito:
nel 1985, Alessandra Lescano, una delle sorelle dell'omonimo Trio,
confidò in un'intervista a Natalia Aspesi che nel 1939 loro (ovvero
il Trio) 1000 lire le guadagnavano al giorno. 1000 lire era lo
stipendio di un medico, pari alle attuali 750 euro. Naturalmente
tutto andrebbe ricalcolato in termini coerenti con quei tempi là, e
non è errato affermare che con 1000 lire nel 1939, ragionando in
potere d'acquisto, ci potevi fare ciò che oggi compreresti con 2500
euro.
Mazzi,
sempre nel 1939, canta poi “Mustafà”, “Juanita”, “Era lei,
si si”, “Ma quando te ne vai”, “La Vita è bella”,
“Cara Carolina” e “Suona la trombettina”, più altri motivi
meno noti. Nel 1940 passa al cinema: recita, con la Jottini, in “Ecco
la Radio”, mentre nel 1943 è accanto a Macario in “Macario
contro Zagomar”. Nel 1950 lo troviamo con quel maestro
dell'ironia che fu Tino Scotti in “E' arrivato il cavaliere”, un
film di Steno e Monicelli, che rappresenta uno straordinario quanto
ironico esempio di avanguardia, comicità e surrealismo.
Ma
la versatilità di Gilberto Mazzi non ondeggia solo tra canzone e
filmografie: Mazzi è doppiatore e abile conduttore radiofonico.

Il
suo cuore si fermò a Roma l' 8 giugno del 1978: è seppellito al
cimitero Flaminio.
Fu
un personaggio dotato di coraggio ed ironia: seppe seguire le proprie
intuizioni artistiche senza farsi prendere dalla paura del
cambiamento. Gilberto Mazzi fu spirito eclettico, capace di passare
dalla canzone, alla radio, al cinema con una naturalezza unica. Mazzi
reciterà in ben 25 film , tra cui citiamo anche “La folla”, “Un
Amore a Roma”, di Dino Risi e “Soldati e caporali” accanto a
Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Ma l'apparizione più importante
per Mazzi è certamente quella nel film di Carlo Lizzani “Mussolini
ultimo atto”, del 1974: qui il nostro concittadino recita accanto a
Henry Fonda, Franco Nero e Rod Steiger, uno dei grandi cattivi di
Hollywood, che ricopre la parte di Benito Mussolini.
Nel
1968 fece anche televisione: recitò con il Quartetto Cetra nella
serie di commedie comiche musicali “Non cantare spara”, dove
veniva rappresentato in termini goliardici e satirici il mondo del
western, con la bella del saloon, il cattivo, gli indiani... Con
Gilberto Mazzi apparve per la prima volta in Tv Fiorella Mannoia.
Allora era una ragazzina di 14 anni e faceva la controfigura, assieme
ai fratelli.