Dal
Piemonte, schivo e riservato
Pietro
Morando, fu innovatore nella pittura
di
Fabio Buffa - Slide Italia
Il
territorio piemontese può vantare di aver dato i natali ad una delle
figure più innovative del mondo della pittura. Un artista che ha
saputo offrire, malgrado il suo carattere schivo e riservato, un
forte impulso alla cultura del nostro paese. Parliamo di Pietro
Morando, nato ad Alessandria, nel quartiere Orti, il 5 giugno
1889. Morando rappresenta la propria città natia partendo dal
“marchio” del Comune del centro piemontese. Quel marchio ideato
una decina di anni dopo la fondazione della città avvenuta nel 1168.
Lo stemma che campeggia nel timpano della facciata del
Municipio è una croce rossa, sorretta da due grifoni le cui zampe
reggono un nastro con la scritta “Deprimit elatos levat Alexandria
stratos”. Cioè, “Alessandria umilia i superbi ed eleva gli
umili”. E chi più di Pietro Morando rappresentò l’elevazione
degli umili, con rappresentazioni che raccontano la gente semplice,
che conosce quotidianamente la fatica del lavoro, la povertà e la
fame? Chi, più del pittore Morando, seppe rappresentare con il
pennello la dignità dei poveri, dei tartassati dalla vita e dalla
feroce società?
La
sua vita, fin da ragazzo, è un’avventura affascinante, un percorso
tanto tortuoso quanto straordinario, sul cui tracciato troviamo
personaggi (divenuti amici di Morando) che a vario titolo
contribuirono a costruire la storia della nostra nazione. Da Angelo
Morbelli, a Piero Gobetti, da Emanuele Filiberto di Savoia Duca
d’Aosta, ad Antonio Gramsci, dallo scultore casalese Leonardo
Bistolfi al pittore alessandrino Carlo Carrà. Da Cesare Battisti a
Pelizza da Volpedo.
Tutte
personalità che a vario titolo e in momenti diversi incrociarono la
vita del pittore alessandrino, testimoni della versatilità e della
pluralità di interessi dell’artista.
Ma
andiamo con ordine: Morando sin da bambino aiutava il padre
nell’attività di muratore, ma ciò non lo distolse dalla voglia di
studiare e di sapere. Così la sera si recava nel centro di
Alessandria a frequentare le “serali”, per poi comprendere che la
sua vera vocazione era la pittura. Bazzicò all’Accademia Albertina
di Belle Arti di Torino e nel 1910 gli fu data la possibilità di
esporre i suoi primi lavori a Roma.
L’altro
pittore alessandrino Angelo Morbelli, che nel frattempo aveva
raggiunto l’apice della popolarità, in quegli anni lavorava in una
“bottega d’arte” a Milano: conobbe Morando e spinse affinché
quest’ultimo potesse usufruire di una borsa di studio per
frequentare l’Accademia di Brera. Morbelli “toglie” il collega
più giovane dal dormitorio della città meneghina e lo ospita a casa
sua. Questa fu la prima delle importanti amicizie di Morando che,
tornato ad Alessandria, si avvicina alle posizioni interventiste di
Cesare Battisti, che accompagnò durante la propaganda di
quest’ultimo per l’intervento dell’Italia contro l’Impero
Austro Ungarico. Nel 1915 Morando si arruola nel corpo speciale degli
Arditi, combatte sull’Isonzo, a Gorizia, sul Carso; qui rimane
ferito, poi nel 1918 è fatto prigioniero e deportato in Ungheria.
Tenta di evadere, è ripreso e riportato in galera, questa volta in
Romania. Vive, come tutti i commilitoni, esperienze drammatiche e
strazianti, conoscendo la malattia, la tortura, le trincee, gli
assalti, la morte più atroce dei compagni. Durante la guerra
continua a disegnare, con il carboncino e su fogli raccolti dove
capitava: i suoi disegni dal fronte sono dei veri e propri reportage
di guerra.
Lavori
che nel 1926 vengono raccolti in un volume dal titolo “I Giganti”
la cui prefazione è scritta dallo scultore di Casale Monferrato
Leonardo Bistolfi.
La
cruda esperienza della guerra porta Morando ad una visione pacifista
della vita e della società e si avvicina ai movimenti che si
oppongono ai primi vagiti del fascismo: è il 1923 e Morando conosce
il giornalista e politico Piero Gobetti (che poi morì nell’esilio
in Francia a soli 25 anni), aiuta la moglie ed il figlio di Gobetti
durante la cattura del caro, e per questo anche il nostro pittore
rischia il confino. Grazie all’intercessione di Emanuele Filiberto
di Savoia Duca d’Aosta e del generale Gaetano Giardino, entrambi
combattenti sul fronte della prima guerra mondiale, Morando viene poi
lasciato stare. E’ probabile che i due non vollero permettere che
un combattente della Grande Guerra venisse cacciato dall’Italia.
Ecco
che inizia la lunga epoca del pittore dei poveri e degli umili:
pastori, contadini, viandanti, vagabondi, cantastorie, mendicanti.
Insomma, la difficile quotidianità delle persone. Della sua
gente.
Rappresenta,
per esempio, “Il Riposo del boscaiolo”, dove descrive in modo
straordinariamente efficace il riposo “del giusto”. Gli “Incontri
di giramondo”, dove in un’essenziale pittura fa emergere povertà
e dignità, miseria e libertà di persone umili ma fiere. Emerge poi
una simbologia unica nel quadro di Morando dal titolo”Cristo
dimenticato”, dove Morando stravolge la classica rappresentazione
della Madonna con il bambino Gesù, attraverso un “Cristo”
estremamente “uomo comune” che tiene in braccio un bambino con in
mano un fiore.
Pietro
Morando non ha mai abbandonato tele e pennello, fino ai suoi ultimi
giorni. Ai primi di settembre del 1980 il suo fisico di novantunenne,
indebolito dagli anni, conosce un’altra crisi respiratoria, così
Morando viene ricoverato all’Ospedale di Alessandria. Le condizioni
peggiorano e all’alba di mercoledì 24 settembre 1980 il suo cuore
cessa di battere.
Ma
le sue opere mantengono in vita la sua memoria, la sua figura, il suo
carattere di contestatore “buono”, mai retorico e mai banale.
Nella personalità come nella sua pittura.
La
figura di Pietro Morando va sempre riferita al presente, perché i
suoi lavori, anche i più antichi, incarnano una forte testimonianza
della società in cui viviamo e della realtà dei deboli e degli
umili. Che non si sentono e non vogliono sembrare “vittime”, che
rifiutano la pietà degli altri, che chiedono semplicemente di essere
considerati e rispettati nella propria dimensione, fatta di lavoro,
sacrifici, sofferenze, ma anche orgoglio e amor proprio.
“Deprimit
elatos levat Alexandria stratos”, tuona il motto scritto sullo
stemma di Alessandria, che sembra fatto apposta per le opere, la
carriera e la personalità di Pietro Morando.