Da
Dj a cantante, celebre grazie a "Re Mida" Claudio Cecchetto
di
Fabio Buffa - Slide
Sono
trent’anni che Lorenzo Costantino Cherubini, in arte Jovanotti, è
sulla cresta dell’onda. Un po’ arbitrariamente abbiamo voluto far
partire la grande corsa di uno dei più grandi cantanti degli ultimi
decenni dal 1986, periodo in cui, ancora nelle vesti di “semplice”
Dj (allora si chiamavano, per esteso, disc jockey), inizia a
far ballare schiere di giovani nel mitico Piper di Roma. A dire il
vero Lorenzo, non ancora Jovanotti, era da almeno cinque anni che
metteva dischi sul piatto tra discoteche ed emittenti radiofoniche
(come Radio Antenna Musica di Roma), ma l’esordio al Piper pensiamo
che rappresenti la prima consacrazione del suo talento. Lui, che è
della classe 1966, già nel 1980 (quindi a soli 14 anni) si cimentava
in una radio locale di Cortona, dimostrando di avere la stoffa
per spiccare il volo.
E’
stato Claudio Cecchetto a scoprirlo portandolo nel 1987 in quella
Radio Dj che allora era una vibrante fucina di talenti. Ma Jovanotti
forse era il migliore, colui in grado di creare mode e pensieri tra i
giovani, con un carisma mosso esclusivamente dalla sua furba
semplicità.
Nel
1988 arriva il suo primo lavoro in qualità di cantante con il
singolo “E’ qui la festa?”, che darà il via al primo LP,
“Jovanotti for President”. Un album che contiene la canzone
simbolo del fenomeno Jovanotti di allora, “Gimme five”
rendendolo popolarissimo tra giovani e non. Lorenzo
Cherubini ha un bel groove, cioè ha la capacità di creare grande
empatia tra il ritmo delle sue canzoni e il pubblico: anche perché i
testi inizialmente dicono ben poco. Ciò che conta è il ritmo, il
ripetere in stile rap le stesse frasi (“è qui la festa?”,
“Gimme Five”) fino all’ossessione. Jovanotti stile anni ’80
riesce a spaccare in due una generazione di ragazzi e ragazze già
sufficientemente polarizzati tra impegno politico ed edonismo
reaganiano. Jovanotti si infila in mezzo a questi due poli
fregandosene delle peculiarità di entrambi; vuole diventare un
artista trasversale. Ma il Jovanotti di allora divide: c’era chi lo
considerava una sorta di genio uscito dalla lampada e chi correva in
negozio a comprare le magliette con il disegno del dito medio alzato
e la scritta “Jovanotti fuck off”.
Sono
gli anni in cui conduce “Dee Jay Television” e “1,2,3
Jovanotti”: la prima durava già dal 1983, prima su Canale 5, poi
su Italia 1, la seconda veniva trasmessa al sabato pomeriggio
(1988-89) dalla discoteca Rolling Stone di Milano. Si capiva che quel
ragazzo, dal volto bianchiccio e slavato, non era quel “fusto
vuoto” che molti dicevano. Sembrava che lo facesse
apposta a fare il disimpegnato, il modaiolo, nei termini che usava e
negli atteggiamenti, quasi come se ci godesse a far arrabbiare
il popolo dell’impegno sociale e della musica di protesta.
Dopo
la partecipazione a Sanremo del 1989 (con la canzone “Vasco”) e
alcune apparizioni alla trasmissione di Pippo Baudo “Fantastico”,
pareva che Jovanotti fosse destinato a sparire dall’orizzonte
musicale, come una delle tante meteore canore.
Ma
non fu così: è il 1991 ed esce “Una tribù che balla”, album
che fa emergere una vena più riflessiva e densa di significati. Nel
1992 arriva “Cuore”, il singolo in memoria di Giovanni Falcone.
Jovanotti, da stralunato simbolo del disimpegno giovanile, si
trasforma in cantate in grado di far arrivare in modo semplice e
schietto i messaggi più struggenti e ricchi di significato a giovani
che non solo apprezzano la metamorfosi, ma addirittura credono che
sia la musica il vero motore del cambiamento sociale. Molti di coloro
che alla fine degli anni ottanta, con la puzza sotto il naso,
consideravano Cherubini il simbolo di una gioventù legata alle mode
e all’appiattimento culturale, improvvisamente rivalutano
Jovanotti, soprattutto quando nel 1994 esce “Penso Positivo”, un
vero e proprio inno alla fratellanza, a prescindere da razza,
opinioni e religioni. Jovanotti con questa canzone crede, “che a
questo mondo esista solo una grande chiesa, che va da Che Guevara e
arriva a Madre Teresa, passando da Malcom X attraverso Gandhi e San
Patrignano, arriva ad un prete di periferia che va avanti nonostante
il Vaticano”. Quel “nonostante” rappresenta la grande
spaccatura col passato, trasformando Jovanotti da carismatico
cantante estroverso e stravagante ad ideatore di nuove
filosofie, non solo musicali.
Con
“L’Albero”, nel 1997, mette insieme musica popolare,
tradizionale folk ed etnica. E’ un Jovanotti alla ricerca di
alchimie sonore per creare uno stile fatto di nuove sonorità e
affascinati “contaminazioni”. E’ il periodo in cui si impegna
per gli Zapatisti messicani del Chapas, in cui vince il Festivalbar e
che incide con Piero Pelù e Ligabue il brano pacifista “Il mio
nome è mai più” contro la guerra nella ex Jugoslavia.
Si
impegna contro il debito che strangola i paesi del terzo mondo,
proponendo la canzone “Cancella il debito”.
Nel
2010 con il brano “Baciami Ancora” vince il David di Donatello
come migliore colonna sonora: il film a cui si riferiva quel brano è
quello di Gabriele Muccino che da il titolo alla canzone stessa. Un
anno dopo “Il più grande spettacolo dopo il Big Bang” conquista
l’Italia e non solo, diventando un vero e proprio inno all’amore,
inteso in tutte le declinazioni possibili.
“Safari,
“Ora” e “Lorenzo 2015 CC”, sono gli ultimi tre lavori di un
artista che rimane straordinario, dalla popolarità
indelebile.
Capace
di passare dagli inni al disimpegno e al divertimento fine a stesso
di inizio carriera, ad un’emancipazione musicale e culturale
straordinaria, senza mai perdere di vista il ritmo, l’empatia
musicale con il pubblico e quell’umiltà che è forse la vera forza
trainante di questo nostro artista. La sua straordinaria visione
dell’Amore contamina tante sue canzoni: un Amore in cui è la
complicità a fare da motore. In cui noia e fragilità del
rapporto non vengono mai negate, ma servono a trovare le vie d’uscita
per scappare dalla crisi e rilanciare la storia, d’Amore.