Il
re del pop, continua a vivere...
La
vera storia di Michael Jackson
di
Tommaso Torri - Slide
A
tre anni dalla scomparsa, ancora misteriosa, di Michael Jackson
arriva nelle librerie “You
Are Not Alone, Michael” che
raccoglie le memorie del fratello Jermaine
dove vengono svelati la fragilità e i sogni della grande
pop star. Un libro dove il fratello di Michael, pur di dimostrare la
grandezza di quello che è stato universalmente conosciuto come “il
re del pop”, arriva a scomodare anche i grandi classici della
filosofia e della poetica classica. Nella prefazione, infatti, viene
citato Orazio con il suo "Ho
costruito un monumento più incorruttibile del bronzo e più alto
delle piramidi. Non morirò, gran parte di me sopravvivrà.
Continuerò a crescere grazie all'approvazione dei posteri".
Jermaine Jackson ha voluto
dire la sua mentre l'attenzione dei media è concentrata gli
strascichi del processo a Conrad Murray, il dottore ritenuto
colpevole di omicidio colposo dalla corte della California di essere
responsabile, per incuria, della morte del re del pop. E ancora una
volta il quarto dei figli di Joseph e Katherine Jackson, convertito
alla fede islamica e ribattezzato Muhammed Abdul Aziz, si dimostra,
come già all'epoca della tragedia, il più equilibrato di una
dinastia tormentata da eccessi e abusi fin dal 1968, quando i Jackson
Five entrarono nel mondo del pop. All’epoca Jermaine aveva 13 anni
e Michael 9.
“Quando
da Los Angeles vidi la conferenza stampa londinese del lancio di This
is it (la serie di concerti che Michael non avrebbe mai iniziato), mi
resi conto che qualcosa non andava",
confessa Jermaine Jackson, 56 anni, in "You are not alone
Michael” (uscito negli States con le edizioni Touchstone).
Aspettarsi
da Jermaine una risposta esauriente sulle fragilità della star
sarebbe troppo, ma il suo racconto aiuta a comprendere perché Jacko
fosse arrivato a cinquant'anni geniale e indifeso, convinto che
accogliere bambini
nella magione di Neverland e dormirci insieme fosse una cosa del
tutto naturale. Ed è proprio sulle accuse di pedofilia, scaturite
dalle abitudini di Jackson, che Jermaine si lancia in una difesa
appassionata del fratello. “Lo ripetevo a me stesso
guardandomi nello specchio: Michael è innocente al mille per cento.
In una settimana ero stato testimone della sua disintegrazione
fisica. A 46 anni l’agile corpo del ballerino era diventato fragile
come quello di un vecchio; camminava a fatica, il passo vacillante,
lo sguardo disorientato; era magro, macilento. Sarei stato disposto a
rapirlo - ed avevo in mente un piano - e a nasconderlo all’estero
piuttosto che farlo marcire in carcere. Se l’America avesse
crocifisso mio fratello per un crimine che non aveva perpetrato, non
saremmo mai tornati”
Aspettarsi
da Jermaine una risposta esauriente sulle fragilità della star
sarebbe troppo, ma il suo racconto aiuta a comprendere perché Jacko
fosse arrivato a cinquant'anni geniale e indifeso, convinto che
accogliere bambini
nella magione di Neverland e dormirci insieme fosse una cosa del
tutto naturale.
Quello
che emerge dalle pagine scritte dal fratello è, obiettivamente,
troppo tenero e appassionato per essere imparziale soprattutto quando
racconta di una riunione di famiglia il 14 maggio del 2009 (poche
settimane prima della morte di Jacko) in cui tutti si erano riuniti
per festeggiare allegramente i 60 anni di nozze di Joseph e
Katherine. Una versione della storia abbastanza edulcorata che
trascura il fatto che sua madre più di una volta aveva fatto
richiesta di divorzio. "Michael si presentò in forma
smagliante e anzi si rammaricava di aver firmato un contratto per
soli dieci spettacoli". Ma tra le righe si legge una storia
diversa: "Il suo incubo incominciò dopo l'assassinio di John
Lennon. Iniziò a essere terrorizzato dalla folla di fan che si
accalcavano intorno alla sua limousine, tremava ogni volta che vedeva
uno di loro mettersi la mano in tasca. La paura diventò paranoia, e
quella fu la ragione principale per la quale cercò solitudine
altrove e si mise alla ricerca di un posto isolato, lontano dalla
città", scrive Jermaine nel capitolo su Neverland, il ranch
che diventò il paradiso di Michael e, per l'opinione pubblica, il
castello degli orrori.
Più
goffo che ingenuo, Jermaine giustifica la presenza di tanti bambini a
Neverland sostenendo che "Michael
voleva disperatamente diventare padre, ma purtroppo non aveva mai
trovato la donna giusta".
Una timidezza con l’altro sesso dovuta, forse, a vari episodi della
giovinezza che riappaiono nel libro dove, il fratello, racconta che
durante i tour dei Jackson Five il giovanissimo Michael aveva
assistito alle effusioni amorose dei fratelli più grandi con le fan
che finivano nella camera da letto dei loro beniamini.
Quanto
alle ultime ore dell'artista, Jermaine sostiene che la negligenza di
Murray è stata fatale. "La
nostra famiglia non riesce ad accettare il misterioso declino di
Michael e il fatto che un medico non avesse compreso che stava
succedendo qualcosa d'irreparabile".
Ma la famiglia davvero non si era mai chiesta perché un dottore
vivesse con lui a tempo pieno e addirittura ne vigilasse il sonno e
le evidenti stravaganze?