UN GIORNO SPECIALE
Intervista esclusiva a
Francesca Comencini
di Massimiliano
Schiavoni – Radio Cinema per
Slide
Passato in concorso
all'ultimo Festival di Venezia in mezzo a giudizi contrastanti, Un
giorno speciale, nuovo film di
Francesca Comencini, è in realtà una buona commedia drammatica, ben
inquadrata su due figure centrali, un ragazzo e una ragazza appena
adulti che per la prima volta si trovano a confrontarsi col “mondo
là fuori”. I due s'incontrano per caso durante una giornata che
per entrambi si trasformerà in un breve e significativo stand-by
dalle loro rispettive esistenze. Marco è infatti al primo giorno di
lavoro come autista, e la sua prima cliente è Gina, una ragazza
della periferia romana che, per assecondare le aspettative della
madre, è spinta a “incontrare” un onorevole per tentare la
carriera d'attrice. In primo luogo Francesca Comencini ha lavorato
benissimo con i suoi due giovani più o meno esordienti (Giulia
Valentini al primo film, Filippo Scicchitano al secondo dopo la
folgorante partecipazione a Scialla!
di Francesco Bruni), cercando in loro una spontaneità d'approccio al
cinema e alla vita. Poi, l'autrice ha messo in relazione significante
i personaggi con la città, confermando la sua sensibilità per i
paesaggi urbani e per la loro valorizzazione di senso rispetto al
racconto.
- Il tuo film sembra nascere anche da un'esigenza d'attualità sugli intrecci tra Potere e sfruttamento delle ragazze. E' una giusta lettura?
F.C.
Beh in parte sì, certamente. Nasce come una riflessione un po' a
scoppio ritardato. In questi ultimi mesi siamo stati pervasi da
immagini, parole, anche fantasie, dalle cronache, dai telegiornali,
dalle interviste, dai quotidiani, riguardo a ragazze che venivano
portate nei “Palazzi del Potere”. Penso che il cinema possa fare
un tentativo di raccontare questa realtà. Non è certo facile,
perché quando l'attualità è così forte è più complicato trovare
un tuo linguaggio-cinema al riguardo. Spero di esserci riuscita.
Credo comunque che sia importante fare questo tentativo, perché uno
dei mali più diffusi nel nostro Paese è la rimozione. Quindi credo
sia interessante per una regista riflettere, ovviamente a suo modo,
sul ventennio che abbiamo attraversato.
- Nel film si avverte anche il tentativo di raccontare le diverse anime di Roma, con le sue differenze, i suoi contrasti. Come hai scelto i luoghi e la storia da raccontare in relazione alla città?
F.C.
Roma è certamente la terza protagonista di questo film. E' una cosa
che spesso succede nei miei film. Lo spazio bianco
era Napoli, A casa nostra
era Milano... In Un giorno speciale
ho cercato di essere molto precisa, la precisione è uno dei valori
che ho cercato di rispettare. Precisione dei luoghi, delle facce, nel
raccontare il viaggio dei due ragazzi. Il quartiere da cui proviene
il personaggio di Gina si chiama Ponte di Nona, si trova all'estrema
periferia est di Roma, sulla Prenestina. E' molto importante la
scelta dei luoghi. La periferia da cui loro provengono è in realtà
una periferia con un suo tentativo di bellezza: le case sono
colorate, sono anche belle, ma il quartiere è proprio tagliato fuori
dal raccordo anulare, non ci sono servizi, mezzi di trasporto, tra le
case pascolano ancora le pecore. E' una cementificazione selvaggia di
tutta la campagna intorno a Roma. La scelta estetica di questo luogo
per me era funzionale anche a spiegare il rapporto con la bellezza di
questa madre e di questa figlia. L'interno della loro casa è
ossessivamente curato, è pieno di quadri, di oggettini, di specchi.
Tutto questo era importante per definire i personaggi, e poi era
importante perché Roma somiglia moltissimo a Gina, è un suo
specchio. In tutte e due convivono una grandissima bellezza, e il
continuo pericolo di collasso di questa bellezza dentro l'orrore.
- Sembra comunque che tu abbia scelto di tenere i riferimenti più forti all'attualità (l'onorevole ecc.ecc.) in secondo piano rispetto ai due giovani, ai loro personaggi e alle loro difficoltà nel mondo del lavoro, come se la crisi economica fosse diventata più urgente di altre cose.
F.C.
La scelta di tenere in primo piano i due giovani viene dalla mia
principale spinta personale, che era su di loro. Io volevo capire e
provare a raccontare soprattutto la ragazza. E poi mi piacevano come
personaggi, mi attiravano di più. Questa è stata la scelta
narrativa. Per me la scintilla è stata non tanto la storia del
“bunga-bunga”, ma piuttosto la vicenda di Noemi Letizia. Mi ha
colpito la sua faccia, la faccia di sua madre, l'idea che loro
avevano della bellezza, “Se sei bella, è un valore”, in una
ragazza così giovane. Noemi è dello stesso anno e mese di mia
figlia. La scintilla è stata questa, ma il film tenta di andare
oltre, indagando una condizione che è stata citata di recente anche
dal Presidente della Repubblica. Napolitano ha detto che
l'occupazione giovanile è il problema più grave di questo paese, ed
è evidente che è così. Io direi non solo l'occupazione, ma proprio
le vite dei giovani. Devono diventare un tema centralissimo per la
politica, ma anche per l'arte e per la cultura. E' una nostra
responsabilità. Perciò non potevo non allargare il racconto al tema
della mancanza del lavoro. Anzi, i due ragazzi del film sono
giovanissimi, sono all'uscita dalla scuola, perciò più che la
mancanza effettiva del lavoro e la precarietà, che loro non hanno
ancora sperimentato, è la paura di tutto questo che li divora.
- Nel film c'è anche l'estrema lontananza dei nostri giorni tra i giovani e la Politica di palazzo.
F.C.
Sì, per il film ho creato un account mail e ho messo annunci in
tutte le periferie di Roma. Così ho trovato Giulia Valentini. Perciò
ho incontrato veramente tantissimi ragazzi e ragazze. A tutti
chiedevo “Tu politicamente come la pensi?”. La risposta di tutti
è sintetizzata da quella che mi ha dato Giulia, che avevo messo pure
nel film e poi ho tagliato. E' stata una risposta unanime. “A me
non me ne frega niente della politica, si scannassero tra di loro”.
- Per quanto riguarda gli attori, è evidente che hai lavorato molto sulla spontaneità e sul far crescere il rapporto tra i due personaggi e attori durante la lavorazione. Come hai lavorato su questo?
F.C.
Ho lavorato prima. Lavorare con attori non professionisti o
semi-professionisti è un lavoro completamente diverso rispetto a
quello con gli attori già affermati. Per me è ugualmente
appassionante. Devi lavorare molto nel creare un rapporto di
confidenza, di fiducia, conoscerli bene, i loro vezzi, i loro modi di
dire. Quindi il lavoro si fa prima. Non facendo però delle vere
prove, perché se fai delle prove con dei bambini o
non-professionisti diventa tutto finto. Le prove perciò sono
incontri in cui parli. Parli del personaggio e loro ti raccontano.
Per esempio, appena arrivata al primo incontro con me, Giulia mi ha
raccontato che, venendo da me, aveva ricevuto una telefonata. Aveva
messo degli annunci per fare la cameriera o la barista e l'avevano
chiamata offrendole invece di fare foto di nudo. Le capitavano
spesso cose di questo tipo. Da lì è iniziato un rapporto, ci siamo
conosciute, ci siamo fidate. Li devi ascoltare e guardare con molta
attenzione.
- Nel film c'è anche molto amore per la figura della madre, che comunque cresce la figlia con valori sbagliati in mezzo a scarpe col tacco, trucco e vestiti provocanti. E' stato semplice muoversi su questo crinale tra valori errati e amore per il personaggio?
F.C.
E' molto difficile. E' una delle cose che mi chiedevo di più. Per me
l'aspetto del materno è molto significante e forte nella mia vita.
Per questo nelle cronache mi avevano colpito due cose: prima di tutto
la figura della madre di Noemi Letizia. Mi sono interrogata, volevo
cercare di capire. Perché si capisce che è una madre che ama sua
figlia, che le vuole veramente bene. In secondo luogo, mi aveva
colpito un'altra ragazza, non ricordo il nome, che è stata indagata
ai tempi della D'Addario. Era una ragazza-madre. Mi colpiva che tutte
le ragazze coinvolte fossero o figlie o madri. Per me era importante
riuscire a capire e non giudicare questa madre nel film, e mostrare
che vuol bene davvero alla figlia, onestamente convinta che il modo
migliore per metterla nel mondo come giovane donna è quello di
spingerla a concedersi a un onorevole. E' una cosa terribile, ed è
terribile che sia diventata una normalità benevola.
- Nel film si racconta anche lo scontro tra ricchi e poveri, ad esempio con la bella scena dei due ragazzi che vanno a rubare un vestito firmato su via del Corso a Roma.
F.C.
Fa parte dei loro caratteri. Ho cercato di essere precisa anche in
questo. Per questo ho scelto dei non-attori, con precisione, con
similitudini, magari non di simili esperienze ma con somiglianze
sociali. Questi due caratteri sono ragazzi di periferia, e molti
discrimini oggi si fanno intorno all'organizzazione urbana: abitare
ai margini o abitare in centro. Nel film Gina ripete continuamente
“Io abito vicina al raccordo anulare”. C'è un forte senso
d'esclusione quando stai ai margini. Andare perciò verso il centro
di Roma, che loro sembrano non conoscere, è un segnale forte per
loro. Giulia stessa mi ha raccontato che suo padre giocava a calcetto
da piccolo nei Fori Romani. Lei vive a Tor Bella Monaca, ma prima la
sua famiglia viveva a Trastevere. Come quasi per tutte le famiglie
romane, e in quasi tutte le città, la popolazione si è lentamente
spostata verso le periferie, abbandonando il centro ai ricchi.