Nessuno
sentiva l'esigenza di un' incursione nel jazz di Lady Gaga, diciamolo
subito. L'avanguardista del pop si muoveva spavalda nel suo
territorio creativo forte dei traguardi raggiunti negli ultimi anni,
almeno fino a quando l' ultimo album "Artpop" si è
rivelato poco apprezzato e le vendite sono crollate, ragion per cui
Miss Germanotta ha dovuto congedare il suo team creativo, licenziare
il manager e affrontare i primi aspetti negativi di quella "fama"
che profeticamente raccontava nelle gloriose hits del suo primo cd.
La rinascita viene battezzata dall'uscita di "Cheek to Cheek"
(Interscope), primo disco jazz della sua carriera disponibile dal 19
Settembre, e primo realizzato in collaborazione con la leggenda del
genere, Tony Bennett. Pare sia stato proprio quest'ultimo a farle
tornare la voglia di cantare dopo la lunga depressione di cui la
cantante è stata vittima, che le avrebbe fatto considerare
l'ipotesi di appendere parrucca e costumi di scena al chiodo e
chiudere con la frenetica vita da “regina delle provocazioni da
svariati milioni di dollari” che sembrava aver completamente
risucchiato la sua essenza artistica. Così, complice la lunga
amicizia che da tempo li legava i due si sono ritrovati in studio per
dare vita ad un progetto che suona tanto “operazione salvataggio
popstar in declino”, quanto il tenero intervento “cuore a cuore”
di un nonno che tende la sua “mano jazz” alla nipote in
difficoltà, fatto che regala una certa nobiltà al progetto ma che
perde in consistenza quando realizzi che alla fine è prevalentemente
di business che si parla, venduto con un rassicurante contorno di
sentimentalismo padre-figlia, ma pur sempre business . Senza contare
che ad essere coinvolta nell'affare è colei che in virtù del
marketing si è reinventata circa un milione di volte dal 2008 ad
oggi, in un vortice di travestimenti estremi, numero uno, scandali,
ammiccamenti più o meno velati all'operato di una certa Lady
Madonna, profumi di colore nero (perchè appunto secondo la sua
creatrice, nera è l'anima della fama) più ambiziose operazioni
commerciali, spesso ( e un po' meramente) travestite da operazioni
umanitarie rigorosamente a mezzo stampa, supportata da una comunità
di ammiratori (gli ormai celebri “Little Monsters) che da soli
garantiscono la metà del fatturato di tutto ciò che sul mercato
porta il marchio “Lady Gaga”. Ecco, fare finta che tutto ciò non
ci sia mai stato è piuttosto difficile. Ciò che possiamo fare è
valutare quest'album che in effetti (e complici le controversie
dell'ultimo anno) ci restituisce una Gaga per la prima volta
totalmente “anima e voce”, al di la delle teatrali performance
nei tour, dei vestititi di carne cruda (e crudi) sfoggiati sul red
carpet, delle decine di provocazioni mediaticamente vincenti che nel
tempo avevavo oscurato il fatto che si, Lady Gaga è senza dubbio un
fenomeno culturale che va giudicato nella sua totale, spudorata e a
più riprese ostentata “espressione pop”, ma che d'altro canto è
anche un' artista dotata di grande vocalità, abilità per la
scrittura e notevoli capacità al pianoforte, piccole perle nascoste
tra una esagerazione e l'altra come “You and I” (da “Born this
way” del 2011) che sembrano riecheggiare le leggende rock degli
anni 70, lo hanno dimostrano ampiamente. Parlando dei singoli brani,
tra le 11 tracce spiccano la seducente “Firefly” e la gaia
raffinatezza di “Anything goes”. In “Lush life” la voce di
Lady Gaga brilla di virtuosismo e da un quid particolare al
tutto, mentre “But beautiful” è abbastanza trasognante da
proiettarti a Times Square, di sera, magari negli tardi anni 50.
Infine “Nature boy” ha la giusta carica di disperato
sentimentalismo vintage in un fumoso jazz club. In definitiva tutto
scorre omogeneo e piacevole, la vocalità di entrambi si intreccia
con facilità e forse l'unica cosa su cui potremmo obiettare,
strettamente legata alle logica di produzione del disco è il periodo
di uscita. Canzoni come queste avrebbero funzionato bene durante le
festività natalizie, e si si sa che a Natale le vendite dei cd si
impennano enormemente. Forse allora non è andato tutto perso nei
meandri della sofisticata immagine che la cantante ha adottato
durante le recenti interviste promozionali, e qualcosa di
irrazionalmente legato alla pura voglia di evadere dalle solite cose
fatte per vendere sembra esserci ancora. Dubitiamo che la ragazza
possa seriamente lasciare i piani alti delle classifiche e il
mainstream, per una ridimensionata carriera da piccola Etta James, ma
gioiamo del fatto che lei stessa abbia capito che in certe
circostanze la semplicità premia, nobilita e soprattutto riabilita.
In quanto a Mr. Bennett potremmo dispendiare innumerevoli parole di
elogio, a voler rimarcare l'eccellente attitudine artistica che a più
di ottanta anni c'è lo regala ancora in splendida forma e totalmente
a suo agio, perfettamente amalgamato a qual si voglia Lady Gaga del
caso, ma incredibilmente superiore a qualunque supporter per
splendore e maestranza nella voce. Autentico “jazz maker”,
consumato, abile esponente della vecchia guardia, poco altro da
aggiungere insomma.